sembra impossibile eludere da questa prassi medievale per cui al potere si paventano entità via via più mostruose e decerebri, come se da un lato fosse plausibile l’alba d’una apocalisse e dall’altro, anzi che togliersi dalle mazzate, con una scrollatina di spalle alla storia le medesime s’andassero affrettando a prender posto per salvaguardare il poco prima d’alluvione, grande gelo o vuoto nudo abisso. le notizie non avranno nulla a che fare con la realtà, ma occupano slot nel cogito dei più, che cogita di rimando scene sempre più soffocanti, nelle quali poi anche a noi storicamente orbitali, quando non coartatamente orbitanti, tocca vivere con smisurata pena.

la notte dormo tra poco e nulla perché ormai il caldo ha rotto il cazzo: le due gocce di ier l’altro poco hanno potuto, e la rimonta non ha atteso troppo, e siamo da capo a dodici, dove i dodici che al capo succedono, per v. sopra e raccolto vaticinio dei cieli, nessuno pur pronosticando sa che configurazione assumeranno. dormo poco e divago, un poco allucino e il resto seguo incipit solo di rado toccando il fondo dei capitoli iniziali. i testi più avvincenti annidano troppa angoscia, i meno non v’è motivo d’insisterli o perpetrarli, le righe che non ammettono d’aver finto sgravano nozioni di cui per carenza di spazio possiamo per ora farne a meno, e gli ami appunto ineludibili chissà chi è che riesce ancora a scagliarli.

oggi, nei cieli, addirittura, solo sparuti rombi, così lontani tra loro che di volta in volta li si poteva scambiare col trasloco delle scuole dirimpetto o il transito dei velivoli di linea.

sembra che gli arrembaggi si possano evitare soltanto navigando sin dove nessuno può raggiungerti.