la collana, che leggo sul sito essere all’ottavo anno d’attività, si prefigge di pubblicare il meglio della poesia contemporanea: sono libricini smilzi e maneggevoli, con copertine ogni volta di colori diversi stringate e minimali, che riportano solo il nome dell’autrice o dell’autore oltre al titolo e al logo dell’editore, che nel volume blu mezzanotte che ho tra le mani è d’un grigio e un nero così tenui che a malapena si distingue in basso a destra.
non deve costare molto stamparli, penso: la casa editrice è figlia d’una università albionica, eppure dal colophon leggo che il volumetto, per arrivare a casa mia nel culo dell’italia centrale, è stato stampato negli stati uniti — in virginia, posto che la mia query successiva abbia ricevuto risposta adeguata — da lì immagino risbarellato in nave in gran bretagna e proceduto oltre, su ruota, ai vari hub e depositi lungo il tragitto verso il proprio ignoto destino.
è da un po’ che vado pensando a questi oggetti che vagano da un capo all’altro del pianeta, dentro container ipoaerobici e bui, come deportati. qualche settimana fa ho letto, e provato a skippare un saliente recap a 81x, di Logistics, documentario girato da due giovani artisti svedesi che traccia 1:1 e a ritroso il percorso di un oggetto insulso, un contapassi di plastica da due lire, dal punto vendita di stoccolma alla fabbrica di shenzhen. le riprese vanno avanti per 857 ore e constano perlopiù di camere fisse su cruscotti e navi mercantili, e per buona parte della durata non si fa altro che vedere container guadare il mare.
inizio a scrivere queste cose senza avere ben chiaro in mente dove voglio arrivare. le considerazioni si alzano intorno forse non a sciami ma certo a volute, lente, pesanti, difficilmente scrutabili ma chiaramente soffocanti, come combustioni d’incensi pesanti, ognuna d’esse tuttavia ferocemente banale: la vastità del pianeta contro la pochezza della migrazione intesa, il margine di profitto contro lo smemorarsi d’esiti più sensati, la passione dell’interposto esistere tramite schermi ove porta persino a inseguire scipiti oggetti per decine di giorni e miglia — un manicheismo sciatto che fa più rabbia che senso, che pur non s’estirpa per rispetto dell’adolescente invivibile e invissuto che ancora oggi al nostro desco, a dedurlo dal puzzo di caprone, più o meno ridanciano e spavaldo s’assetta. mille considerazioni inutili, appunto, inutili proprio come il non servire a niente.
difese dai propri congegni, è chiaro, serve ravvederne altrove, e lasciare che nel frattempo la fiamma divampi e bruci ancora: a corto di comburente un giorno riusciremo anche a respirare.