scrivevo sul diario nell’ultima settimana del 2020:

parlare e condividere porta più spesso che altro all’esacerbarsi delle crisi. non porta soltanto a quello: diciamo che è anche il primo passo dell’incantare e dell’ammaliare. magari non è sempre vero che ogni forma di comunicazione è ipnosi, ma innegabilmente sono poche le volte in cui una forma di comunicazione non è riscontrabile come tale. la cosa della prima frase la andavo pensando ore fa, e ora il pensiero si è fatto stantio e non è più vivo, ma prima lo stavo sviluppando e non mi andava di mettermi subito lì a scriverlo. la prossima volta imparo. parlare e condividere aggiunge quantomeno complessità alla struttura nella quale viene operato. in vita, i.e., ho parlato e condiviso davvero poco, eppure la situazione si è complicata lo stesso. pensa se avessi parlato di più. tutto questo farraginare, poi, perché in quel momento non so che problemi avessi con il comunicare e condividere, e perché prima avevo iniziato a leggere un breve paper sul cedimento strutturale delle cose complesse. in pratica, passano tanti anni e poi pure il resto del mondo si mette a parlare delle cose che pensavi di essere matto a pensare quindici anni prima. anche se quello che più probabilmente accade è che queste cose non eri il solo a pensarle, non lo sei mai stato, ma più passa il tempo e più il mondo diventa assordante, e qualche boomerangata di ritorno ogni tanto tocca che te la becchi. il mondo diventa poi sì assordante, ma pure tu ti metti d’impegno a farti assordare.

è la cosa più strana del mondo rileggere i propri diari, soprattutto quando s’è deciso d’aderire a certe immagini statiche per praticità di forma e libertà di movimento nello spazio. le preoccupazioni sembrano simili e ne emerge dunque che attanagliano l’intero serpente esadimensionale della personcina che sta lì seduta ad annotare e registrare — quello famoso con migliaia di bocche, migliaia di occhi, migliaia di ansimi e sospiri e bestemmie a cristo, l’intero unroll di ogni momento che abbiamo vissuto, stiamo vivendo e ci apprestiamo a vivere. e si scrive in continuazione delle stesse cose per vedere se nel frattempo siano lampeggiate ulteriori epifanie.

nella stessa entry, qualche paragrafo sopra:

ma nell’annuario di meraviglie buddiste di certo le scurrili riflessioni romaniche e baresi che mando a Roberto alle sei del mattino non credo che abbiano posto. dunque potrei […] e darmi un limite di tempo poi per vedere dove sono arrivato. mi piacerebbe dire: tutto il 2021. ma all’idea si allega più di qualche angoscia. facciamo che continuo a provarci e poi ci riaggiorniamo a giugno? giugno uguale estate uguale angoscia. chissà se come per la pratica di Simamukha esiste un livello dove si scavalla completamente anche da questo tipo di tensioni e paranoie prospettiche. ma certo che esiste. bisogna soltanto intuirlo.

dovevo avere tanto tempo a disposizione in quel periodo. le entry sono da lunghe a interminabili. quella citata sinora non è affatto breve, quella del giorno precedente va avanti per pagine e pagine e pagine, e a un punto di questa mi leggo annotare sto scrivendo da troppe ore, e a poco a poco perdo la facoltà di dire quello che voglio dire ma la cosa non sembra fermarmi, tanto che più avanti trascrivo — a differenza di ora senza tradurre — uno stralcio da un’anteprima arrivata per posta da un libro di Jeremy Cooper che sarebbe stato pubblicato di lì a qualche settimana:

Parte delle lettere di mia madre che non ho più le ho stracciate e gettate via pochi secondi dopo averle lette, per quanto mi avevano fatto arrabbiare. Altre sono semplicemente scomparse, forse lasciate da me in una giacca e buttate dagli addetti della tintoria, o abbandonate per sbaglio sul tavolo di un caffè. Anche se le avessi tutte, la storia che racconterebbero sarebbe comunque parziale. Niente è mai completo, tutto sempre una versione. Un’illusione immaginare che ricerche e indagini diligenti, su chiunque e qualsiasi cosa, possano dar luogo all’intero della storia. Non esiste nulla del genere.

di quel libro ho poi finito per non recuperarne una copia, gesto che andrò a compiere, forse, e assieme a decine di altri, non appena i venti d’alta quota saranno più propizi agli acquisti, anche se poi in the forthcoming apocalypse etc. e al ricercare il benvolere dei venti si dovrebbe accompagnare l’assemblaggio di vele solari come congegni esoterici.

la grande confusione mentale di questi giorni, e il tempo in buona parte impiegato a pensare e ripensare come distribuire e razionalizzare il mio output, mentre poi di fatto se perdo tempo a pensare a queste cose di output ne produco ben poco. la grande voglia di ricercare la serenità a ogni costo, quando di presupposti per la serenità non ce ne sono molti, e il dubbio conseguente di starci volendo soltanto mettere una toppa sopra, timidi sorrisi e gesta normali quando a tratti una parte di me ripete e ripete che dovrei urlare.

ma urlare cosa, poi. ho pensato che si può fare anche a meno degli asterischi. e scrivere di cose incomprensibili dando l’impressione di star compilando un saggio, interferendolo e intervallandolo con una copia statica e anastatica di un flusso di coscienza fermo nel tempo, visto che il tempo non è un fiume ma un cristallo superdenso iperdimensionale. e giù a roboare con concetti che sono sempre gli stessi, i paragrafi soltanto in apparenza a dividere pensieri che in realtà stanno lì soltanto a confabulare sempre la stessa cosa.

da domani si torna a scrivere col marker a scalpello.