eppure, leggo scritto nel catalogo delle opere di Jigme Lingpa, proprio per via della stessa chiarezza la maggioranza di chi si affida alle parole resta confuso da quello che sembrano significare: gli scritti, profondi e intrisi di significato al punto da grondarne, sono composti e assemblati serbando in cuore le necessità e i limiti di discepoli più o meno inconsapevoli di un’epoca degenerata, ma non importa quante volte nei tanghi di giochi del proprio confinato intelletto li si vada con scrupolo ad analizzare, resterà sempre difficile sondare l’abisso di tanta profondità. gli scritti hanno la capacità di condurre gradualmente chiunque allo spazio sconfinato, qualsiasi impressione sia ciò destinato a recare, e si tratta perciò d’evenienze particolarmente rare, che in un futuro non meglio precisato assurgeranno a istruzioni per la pratica.

sistemi e strutture, qui in locale, vanno nel frattempo perdendo i pezzi, essendosi di necessità dovuti riciclare e reinventare di continuo, nell’arco di settimane, cercando di mantenere aspetti e funzionalità più o meno base a valle di motori diversi e sempre comunque lontani da un immaginario ottimale. la storia sembra la stessa delle genealogie che i testi sopra riferiti elencano, senza che forse da nessuna parte vi siano i bagliori che in una fiamma arcobaleno ci riconsegnano all’auspicato dissolversi della forma.

in un altro di questi dedito alla pratica di una divinità combo si legge nel proemio una storia molto toccante:

Proprio come aveva profetizzato il Grande Maestro Padmasambhava, malato e in pericolo di vita ebbi l’intenso sentore che uno spirito damsi coperto di stracci mi andasse lacerando i fianchi con una spada. Dunque, incapace di distogliere lo sguardo dalla forma del Grande Maestro, la mia mente si colmò d’illimitata devozione. Attraversato dalle radianti benedizioni di Padmasambhava, lo spirito damsi s’imbarazzò di quello che stava facendo e colmo di rammarico implorò d’esser perdonato. Alché Padmasambhava m’impartì il sadhana che segue:

eccolo, eccolo il punto: immaginare cancro e miseria e simili anedonici militi e tutto lo stuolo a seguito d’ostacoli capire, colmarsi d’imbarazzo prima e rammarico poi e poi nel chiedere perdono riprogrammare il proprio fungere e apparire ad assolvere scopi infine compassionevoli e sensati.

Il corpo del Guru Rabbioso ammalia eroico e indomito, la voce emana Hayagriva in risa minacciose e inferocite, la mente Garuda di saggezza primeva fluttua placata e compassionevole

Alla divinità che imbriglia forze avverse offro ogni elogio e dono

Al centro del mio cuore attorno a una sillaba hum sul disco d’un sole, le sillabe del mantra ruotano come tizzoni, emettono raggi di luce come lingue di fiamme, emanano garuda come scintille a incenerire le forze avverse, risuonando col raglio del cavallo che fa tremare l’universo intero

Purificando il mondo e chi vi dimora, i raggi di luce si dissolvono in me, che appaio come la divinità, avvinta nel Mahamudra

Se reciti seguendo il tempo, continua per quanto paia ragionevole farlo

Al termine d’ogni sessione, dissolvi ogni cosa come l’hai generata

Questo profondo tesoro della mente ai miei figli del cuore affido

avessero funto come prima le strutture, o non mi fossi avveduto delle fughe di moti dagli ingranaggi, non avrei dedotto nulla del genere nel medesimo quadrante temporale. non sembra più un sospetto che il vero grimorio possa emergere solo dagli scarabocchi a matita sui foglietti volanti, e che a ogni passo della danza stiamo coperti di stracci a brandire spade alla cieca come gli spiriti pentiti.