c’è un racconto lungo di ██████ — pressoché una breve novella — che parla di un bambino non udente che crescendo, contestualmente a una delle sue prime esperienze sessuali finalmente ode, ma soverchiato dall’improvviso schiudersi dell’inedito reame sensoriale alla percezione, decide di tenere per sé la novità. la terza persona onnisciente che conduce la narrazione ci informa che passano sette settimane prima che l’altra attrice della succitata esperienza scopra di essere rimasta incinta nel corso della stessa, e altre tre prima che il protagonista, con una frase stentorea vergata a biro blu su un foglio a quadretti, venga messo a parte del dato della paternità prospettiva, ed è lì che sorteggiando una mirabolante girandola di conigli dal cilindro, l’autore affresca con secche pennellate un diagramma differenziale tra gemiti, vagiti, semplici respiri, mentre in vertiginoso incedere la trama impenna ripida e poi picchia giù, al futuro remoto, poiché i gluoni del titolo del paper stampato in un fascicolo che leggiamo poggiato sul tavolo da tè nella scena d’incipit — un sillabario rauco e minimale, questa, che ripercorre i giochi erotici di una coppia su una spiaggia deserta anni prima mentre la stessa ne rimira una ripresa dall’archivio a schermo nella penombra d’un salone una sera d’inverno con l’avvisaglia d’una tromba d’aria oltre i vetri delle portefinestre sbarrate, che del protagonista era giocoforza privo, la coppia i di lui genitori e quel divano, in quel salone, la culla della sua concezione — tutto d’un botto si scollano e viene giù anche Cristo, e prima di tornare al punto di partenza la trama, appunto, tocca prima la massima estensione dei partecipanti al traguardo della tomba e azzarda un rilancio alla morte termica dell’universo, ma si capisce che è soltanto un espediente teso a recare conforto a chi, sconsolato, è stato lì dalla prima pagina a seguire la vicenda e, inconsciamente forse, a farla propria, ravvedendo, anche forzando, echi, similitudini, sentendosi via via scarrozzato col vomito in punta di gola degli ottovolanti: da un lato sei una povera creatura inerme, dall’altro ogni altra creatura povera lo è parimenti, e così inerme, e il conforto che viene offerto non è tanto quello della fratellanza e dello spirito di cordata, quanto quello del grano di rumore bianco nel brusio indistinto.

(ecco, non so che farmene di preciso delle righe soprastanti, che ho ritrovato in una cartella datate 11 luglio 2022, a cui ho eliso il nome del fantomatico autore poiché inesistente, e perché Borges è stato importantissimo, ma in questo giorno ed epoca possiamo pure fare a meno di dover fingere d’inventarci nulla, e non ricordo se la sua origine sia un sogno o un mero sconforto mattutino, una pallida vertigine esistenziale o la risultante disperata miscela d’ingredienti per assemblare un pasto quando il frigo è vuoto)