in un sogno sfrecci a rotta di collo a un palmo da terra tra gambe d’individui e vincolate fiere, sporte straripanti e attraccati carri, e come bolide il volo rende tutto vita e snoda in ore e ore, e al sogno dopo, invece, passa la vita di tutti i giorni, davanti lo schermo a sedurre frasi in pila ad altre a tempo e stacco e dirimere di queste bricioli e faville per migliaia di ore e milioni di parole, miliardi di respiri e in tutto questo, appunto, sei lì che vivi e sempre più livido scrivi e scrivi.
dalle rotte dei satelliti ogni vagito isolato appare un punto indistinto. da qualche parte incomprensibile al giga d’entrata dei sensi sempre più ìlari i nostri sé esadimensionali indicano che quelle macchie siamo noi: disuniformi e discontinue, aruspicate a intravedere un senso nella coreografia del transito.
e come d’altri anni anche di questo adoreremmo dire che a valle di morti e inevitabili disfatte e corse in salita dove solo l’affanno è sovrano, di tutti i trionfi plausibili e auspicati ha trionfato l’amore, e come d’altri anni ci si ripeterà a vicenda che l’uno principia ove lo scorso si conclude, e sotto sotto, la bestemmiata ubbia del calendario per un volta pure pare almeno necessaria a dirci che dei numeri di questa serie la nostra sola dote non si snoda illimite, e che nel libro degli oracoli sta scritto solo che è propizio perseverare.