stante l’equivalenza di ogni posizione adottabile, le risoluzioni affini a quella dell’ultimo post sono completamente inutili. con un singolo gesto, dunque, e a posteriori di nessuna particolare cogitazione, scongelo l’istanza e la rimetto in onda, e ora resta solo da attendere che il ghiaccio torni acqua e che la stessa adotti ad uopo una temperatura più consona a ciò che è vivo o quantomeno tende ad apparirlo. il mio Vero Sé, lettere maiuscole, è un accretumulo di attenzione, contemplazione e farneticamento, e sfido chiunque, flettendo i muscoli e mostrando i denti, a confutare che così non sia e che la stringa non nasconda il breviario d’un ennesimo gesto che ci vede ancor più a fondo rintanati tra le foglie.

tra le prime o seconde cose scorse innanzi agli occhi al mattino, una lunga lista di libri tradotti in una lingua da un’altra, che vedranno la luce nei prossimi mesi, che al nudo metadato di titolo, autore e traduttore aggiunge d’ognuno la trama. in una di queste una donna stufa d’essere il modello d’ispirazione delle novelle erotiche scritte dal marito romanziere consuma una ciotola di semi e di lì a poco comincia a germogliare. il marito la chiude in un terrario e mentre cerca di capire come vertere l’istanza in una ennesima novella, in pieno rigoglio vegetale la moglie cresce e cresce e diventa una foresta che sbrana tutta la città.

c’è un grosso ping pong tra proiezioni di primavera e inverno ancora in trono in corso nella mia bioregione ormai da settimane, e questa mane, sul viale dove passeggio col cane, buona parte dei viandanti professionisti che al dì di festa si tumulano in tessuti variopinti e percorrono in loop i viali per farsi dare dal telefono o dal braccialetto la pacca sulla spalla dell’obiettivo quotidiano di passi raggiunto e superato, per via del gelo traslocato tra le siepi e i cespugli dalla mitraglia di tramontana, era coperta fin oltre gli occhi da cappucci, occhiali da sole e bavagli, e si vedeva a occhio nudo quanto stesse facendo fatica anche solo a coordinare il respiro e il corpo ancora annodato. ma dove cazzo andate, volevo urlargli, magari anche solo commentare, uscito per qualche istante dal bossolo di sfinge e neanche troppo ridanciano. poi invece sui prati nel loro splendore di carbonio nudi balzellavano i merli, alla ricerca di pasti sempre meno lauti tra i chili di merda che la nostra gioviale specie vede opportuno omaggiare a terra e fili d’erba come se tutto fosse qui in ultimo per darci conforto e farci stare comodi.

in un’altra sinossi un’ordinaria casalinga vive nella capitale col marito e i due figli, fa il bucato e va al supermercato, parlotta con le amiche e ciarla spettegoli col vicinato: la cronistoria delle conversazioni si mescola senza soluzione di continuità all’assordante monologo interiore, portando in superficie l’incapacità di collocare se stessi, e per quanto conta, aggiungo, tutto il resto, nel flusso inarrestabile di minuzie che compone una vita sotto assedio e al confino, dove al tempo stesso sembra accadere tutto anche se sotto sotto non sta accadendo nulla.

serie di minuzie. la settimana trascorsa per gap nel flusso di lavoro doveva essere dedita al riposo ed è stata invece tutt’altro, in un crescendo wagneriano e lancinante, dove al principio dell’ultima tranche di ieri volevo solo correre e fuggire ma ero esausto e sono rimasto fermo, il monologo interno distillato nel vuoto di significanti dell’acufene orribile che mi assorda e mi arronza, recando un messaggio così frastornante da risultare come sempre sempre più ininterpretabile. non si tratta affatto, o più, di blanda vertigine: il caccia è esploso e c’è il minuto e oltre di caduta libera prima di tentare di aprire il paracadute che non è detto poi che funzionerà. nella caduta libera anche il minuto trascorre con la trasognanza dell’eternità, e mi vedo in gesti acoreografici e maldestri traslare dischi rigidi da una dimora all’altra, e in piccole sacche di stupor pomeridiano, non potendo tentare altro per succitata caduta, penetrarne gli attracchi con rugginosi connettori per sbirciare dal congegno in uso cosa contengono: non so che farmene al momento delle centinaia d’ore di registrazioni audio che intrappolano a brandelli una vita che ormai ho in buona parte dimenticato, i video li apro senza audio solo per vedere luce di cosa serbano ma li richiudo subito credo per risparmiar la pena, e tra le foto ne ho trovata una che mi ritrae con Stella tra le margherite, nel medio meriggio del 13 giugno 2010: oltre il dato di Stella ancora viva siamo tutti e due più nuovi, adeguatamente ribaldi, con espressioni illeggibili, in procinto ognuno, sicuramente, di scagliarci verso rispettive prede, fossero quelle anche solo le più semplici di mondo interminabile e futuro tempo.