anche ieri pomeriggio a quest’ora s’era alzato lo stesso vento: seduto a fronte del divano sul poggiapiedi che il cane qualche dieci giorni fa aveva usato come giaciglio, lo vedevo oltre la finestra scuotere le cime degli alberi, mentre dietro le mie spalle la voce di mia madre ripeteva e ripeteva di guardarlo, tanto vento, chiedendosi poi se a casa sua l’assetto in cui aveva lasciato gli infissi prima di uscire avrebbe loro permesso di sostenerlo.

dopo cena poco prima che si congedassero agli amici avevo adombrato la mia sfavillante proposta elettorale: ogni mandato dura quattro anni precisi, al termine dei quali chi se n’è o ne è stato incaricato viene sacrificato in pubblico tramite un sordido ed elegiaco rituale dalle fosche tinte azteche agli dèi, per auspicare un transito nitido e privo d’intoppi a chi eseguirà il mandato successivo. questo, dicevo, per assicurare la massima onestà intellettuale al pupazzo che pensa di avere qualche titolo e talento per poter decidere della sorte d’altri, dandogli per giunta la possibilità di far seguire l’ultimo inchino da una strabiliante fiammata di gloria, come quando anche il buondì si cantava in esametri dattilici. questo idealmente a scendere dai presidenti sino ai sindaci, e per evitare continuità e trame occulte nell’insulto del potere, dello stesso meccanismo si dovrebbero avvalere anche le cariche di assessore o direttore e chi gli fa le veci: normalizzato questo bagno di sangue da civiltà al tramonto nel giro di dieci o venti anni, asciugate le lacrime delle mamme coi figli eletti al consiglio regionale, ci accorgeremmo che oltre la persistenza degli stessi volti da cazzo alle ribalte mediatiche non è cambiato niente e che pure il sangue a torrenti è la stessa inutile distrazione di quando questa gente a fine mandato non veniva immolata, e mentre eravamo distratti da tanto sfarzo davanti al banchetto delle tre carte, da dietro nella calca il debito ci aveva già da tempo sfilato il portafogli derubandoci d’arbitrio e dignità, ma peggio ancora, nei suoi pressi, la nostra volontà di stare imbambolati ad assistere al gioco si era già portata via l’animo intero. e noi lì, babbei, a escogitare soluzioni per rami, infiorescenze e contadini, quand’era già la radice ad essersi ammalata grave.