di tanto in tanto su questa pagina capito perché ho l’iconcina sulla barra dei segnalibri tra quelle delle destinazioni cui accedo più di frequente, ma solo stamane ho fatto caso alla data dell’ultimo post, almeno quindici mesi prima del qui ed ora dove pigio questi tasti: sarebbe bello pensare che quindici mesi fa ho fatto switch come negli anni è sovente capitato tra testo e suono, suono e luce e poi di nuovo testo e ancora suono, proprio perché le cose vanno al verbo del plateau, che in questa lingua mi pare non esista, e che comunque non è mai valutazione qualitativa ma di banda dedicata, e dove la banda, a malincuore, sfacelo e orrore, s’è dovuta dedicare alla senescenza parentale e alla dispnea ancestrale, con tutti gli annessi, i connessi del caso, dato non poco, non scontato, al quale come di tanto in tanto ho ripetuto nessuno sembrava averci preparato.
che poi di parole e parole a commentare le immagini e le migliaia di minuti giorno dopo giorno non sembro fare altro che scriverne, per ingaggio, con la tristezza di dover trascorrere l’esistere a capitalizzare, perché per contro in assenza di tale corolla l’esistere transita in stati meno auspicabili, anche se ormai il sospetto che tutto sia diventato inutile è passato da assunto a mostro di inizio livello sullo sfondo, che è poi il motivo, alla fine, per il quale non si riesce più a giocare.
al cagnolino qualche mese dopo un inatteso diabete ha esacerbato la cataratta e anch’ello è transitato in una condizione di tenebra che non soddisfa le specifiche d’assoluta ma è trama d’ombre su ombre, indistinti caposaldi che hanno cessato di essere tali e divengono continui pretesti di craniate e inciampi e d’un inconsulto disagio a muover passi avanti. se durante la passeggiata s’appropinqua un altro essere, prima ancora di valutar di questi potenziali ostilità o affabili predisposizioni, è sempre possibile sollevarlo di peso da terra per insularlo da problematiche che infine mai sapremo se si sarebbero davvero presentate.
a noi, come manipolo di disperati a milioni che brancola sulla crosta di questa roccia con idea sempre più pallida delle plausibili destinazioni, sorge sospetto che non possa sollevarci di peso nessuno — che infine è un [op. cit.], di quando su spadamagnetica scrivevo:
e a livello profondo ormai lo sappiamo, quasi riusciamo a cognirlo, a cogitarlo che non c’è guardiano alcuno
e come tutti gli [op. cit.], arriva con l’avviso di scapicollo bianconiglieo; e forse è bene tenersene alla larga, e consolarsi col rombo distante di quello che potrebbe essere un altro temporale estivo, dopo che quello di ieri ha appena lenito la bestemmia di questi mesi di calura atroce.
al mio programma radio, sola avventura di pasionària centrifugalità di questa spanna, sto pensando di associarne un secondo, stavolta sotto uno pseudonimo che per superstizione mi riservo di non annunciare, magari su una emittente all’altro capo del mondo o più probabilmente solo all’altro capo del mio cranio. c’è ancora tanto che si può esprimere tramite il suono, e ho ritrovato un fido destriero che negli anni di iato in cui era rimasto a galopparsela brado e indomito nelle praterie del cervello senza che alcuno ne tenesse traccia ha solo intrecciato altra resilienza a tendini e muscoli e scolpito il caldo respiro sempre più a guisa di mantice. ancora tanto lo si può esprimere oltre che col tutto di gesti e sguardi e ansimi pure con le parole, ma perché siano recepite, quelle, serve il tempo e l’attenzione, e soprattutto qualcuno che gliela dedichi.
il suono è diverso perché anche se nessuno lo bada possiamo scegliere di mandarlo comunque in aria, inevitabile, causale quanto il falcidio di cazzo del giardiniere qua fuori, che ha scelto proprio questo momento per limare siepi o cosa, quanto il rombo del traffico lontano o del temporale che sembra invece aver receduto, del chiacchiericcio altoparlato dello spam che oltre modelli e stili prova a venderci qualcosa un paio di piani più sopra, quanto il fragore di tutto, il vero acufene dell’universo, il razzo segnaletico che qualcosa comunque accade e accade. possiamo scegliere di mandarlo, e una volta si chiamava guerriglia, e oggi un nome non ce l’ha più. diventa sempre più difficile da individuare, da definire. è bello pensare che principi qua la sua reale temibilità.
e che lo schiocco della folgore appena schiantata contro ogni pronostico ne sia mirabolante auspicio.