epimenide di cnosso, quando ancora molto giovane, venne mandato dal padre a cercare una pecorella che, dispersa nei campi, la notte prima non era tornata all’ovile; epimenide la cercò tutto il mattino, ma quando il sole giunse all’apice del suo percorso, affaticato dalla calura, decise di rifugiarsi in una caverna per schiacciare un pisolino: ivi dormì un sonno lungo cinquantasette anni, sognando un singolo sogno, ed al risveglio, senza comprendere quanto fosse accaduto, si stiracchiò ed uscì dalla caverna e continuò a cercare la pecora senza successo, sin quando stanco non tornò a casa e trovò tutto cambiato e ogni conoscente morto, eccezion fatta per il fratello minore ormai decrepito, tramite il quale finalmente s’avvide che il tempo era trascorso come un fiume in rotta, portandosi dietro la pecora e un grumo d’anni che non avrebbe mai riavuto indietro.
la caverna era sacra a zeus, e la storia continua in maniera intrigante, ma persistere nella narrazione esula dalla scopo: l’importante, in questo caso, è che qualcuno finalmente si risveglia e si rimette a cercare la pecora.
esula anche: dormire meno ove già dormivi poco, sognare un sogno a questo punto lungo l’arco di quarantadue anni, trovando nella cassa degli attrezzi sempre meno pertinenti ed efficaci le stringhe d’allegorie che lo decrittano, e in tutto questo tenere a retro cranio il sibilo acufenico dell’angoscia per l’ovino sperso brado nei campi a turpe torcia o faro di quanto permane irrisolto.

la foto l’ho ripresa dal vecchio flickr e data otto anni indietro: intercorse trame di tessuti cicatriziali nel contempo, l’ottundere dei nervi dove terminano corsa a sbandierare lebbra; ma è ancora lo stesso pisolino. dovesse occorrervi d’incontrare una pecora sul vostro cammino, prendete nota d’ora e coordinate e fatene, per me, tesoro. prima o poi mi sveglierò anche io, e dovrò riprendere a cercarla.

nella foto mi vi sono rimbattuto stamane, neanche troppo dopo l’alba, mentre cercavo cosa appiccicare nella locandina del prossimo programma che ho registrato l’altrioeri e che andrà in onda il prossimo 3 dicembre, e il testo viene da un post su facebook dove qualche anno dopo (28 luglio 2014, quel dolente arco di quarantadue anni ricorda), in preda al classico capitombolo bianconiglieo, avevo già rigurgitato la foto che era originariamente apparsa su flickr, col titolo barrier, l’11 ottobre del 2006. nei commenti del primo mi si faceva notare che la pecora l’avevo già trovata — nel 2014, penso a maggio o giugno, tornando da lavoro: era quasi sicuramente un venerdì, e a ridosso del magazzino dei miei datori c’era questo grosso esemplare apparentemente intento a scrutare inamovibile dentro un’abitazione che in quel momento era vuota, e solo giorni dopo ebbi a comprendere che il motivo di tanta curiosità non era dovuto al fantomatico interno, che pure traverso tende e vetro non doveva essere molto visibile, ma al fatto che la creatura stesse rimirando nel riflesso un suo simile, senza peraltro percepire l’altra inevitabile segnaletica di suoni, ormoni e calore corporeo di rimando.

la pecora, in ultimo, stava cercando un suo simile anche quando pensava di averlo già trovato. Epimenide comprese in quella circostanza di essere caro agli dèi e in particolare ad Apollo, e trascorse di fatto il resto dei suoi giorni a fargli da messo e interprete in terra, e non se se d’Epimenide all’epoca avessi letto in Colli, in Plutarco, in Plutarco riportato da Colli o peggio ancora, in Colli riportato da Plutarco dopo che qualche muffa raschiata dalla parete d’una caverna, magari la stessa in oggetto, gli aveva fatto immaginare un balzo in avanti anzi che un più ordinario tuffo all’indietro. io a questo punto non so se sto ancora cercando la pecora, o se l’abbia mai di fondo cercata, noncurante comunque del dato d’averla a un punto trovata: quello che più riluce al momento è il sogno di quarantadue anni, che ancora va avanti e ne sta al momento durando cinquantatré. è che non so, di fatto, se sia mai stato lucido.